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Non costituisce diffamazione l'offesa veicolata in una chat vocale.
Innovativa sentenza delle Suprema Corte di Cassazione.

09-04-2020 13:03 - Diritto
Non è reato offendere la reputazione altrui attraverso chat vocali anche se la comunicazione è fruibile tra più persone. Lo ha stabilita la Corte di Cassazione sezione V con la sentenza numero 10905 del 25/02/2020.

Il caso

Con sentenza emessa il 28/03/2019 la Corte di Appello di Milano aveva confermato la sentenza del Tribunale di Monza del 31/10/2016, che aveva condannato S. F. alla pena di eruo 600,00 di multa per il reato di cui all'art. 595 cod. pen., per avere offeso Sala Matteo, pubblicando commenti e giudizi lesivi della sua reputazione su facebook, comunicando con video chat, con modalità accessibili ad un numero indeterminato di persone.
Proponeva ricorso per cassazione il difensore dell’imputato deducendo sostanzialmente che la chat incriminata non era avvenuto su facebook, ma sulla piattaforma “Google Hanouts”. Il motivo di ricorso dedotto sotto forma di violazione di legge in relazione all'art. 595 cod. pen., per avere ritenuto sussistente il reato di diffamazione, anziché la fattispecie di ingiuria. In effetti la piattaforma "Google Hangouts",deduceva il ricorrente, è diversa dalle altre piattaforme chat digitali, che sono 'leggibili' anche da più persone; in tal caso, il destinatario dei messaggi era solo la persona offesa e la video chat aveva carattere temporaneo.

La soluzione proposta dalla Corte di Appello di Milano.

La corte di Appello di Milano aveva risolto il caso condannando l’imputato richiamando un precedente giurisprudenziale (Cass. Sez. 5, n.7904/2019), che riguardava una chat scritta (Whatsapp) in cui il messaggio offensivo può essere visionato anche da altri utenti;
Nel precedente giurisprudenziale, invocato dalla corte ambrosiana, la Suprema Corte aveva stabilito che per decidere la vicenda andavano richiamati i principi stabiliti in in tema di diffamazione commessa mediante 'e - mail' o mediante 'internet'.
Nelle pronunce in materia si è, infatti, argomentato nel senso che la eventualità che tra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona nei cui confronti vengono formulate le espressioni offensive non può indurre a ritenere che, in realtà, venga, in tale maniera, integrato l'illecito di ingiuria (magari, a suo tempo, sub specie del delitto di ingiuria aggravata ai sensi dell'art. 594, comma 4, cod.pen.), piuttosto che il delitto di diffamazione, posto che, sebbene il mezzo di trasmissione/comunicazione adoperato ('e-mail' o 'internet) consenta, in astratto, (anche) al soggetto vilipeso di percepire direttamente l'offesa, il fatto che il messaggio sia diretto ad una cerchia di fruitori - i quali, peraltro, potrebbero venirne a conoscenza in tempi diversi -, fa si che l'addebito lesivo si collochi in una dimensione ben più ampia di quella interpersonale tra offensore ed offeso (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, P.M. in proc. Nastro, Rv. 254044; Sez. 5, n. 4741 del 17/11/2000, Pm. In proc. Ignoti, Rv. 217745): di qui l'offesa alla reputazione della persona ricompresa nella cerchia dei destinatari del messaggio.

La soluzione della Suprema Corte

La sentenza in commento, invece, abbandona il vecchio orientamento , neppure citato nonostante richiamato recentemente dalla medesima sezione ( la V) e chiarisce diversamente la questione.
E' stato accertato che le espressioni offensive sono state pronunciate dall'imputato mediante comunicazione telematica diretta alla persona offesa, ed alla presenza, altresì, di altre persone 'invitate' nella chat vocale.
Ciò posto, va rammentato che l'elemento distintivo tra ingiuria e diffamazione è costituito dal fatto che nell'ingiuria la comunicazione, con qualsiasi mezzo realizzata, è diretta all'offeso, mentre nella diffamazione l'offeso resta estraneo alla comunicazione offensiva intercorsa con più persone e non è posto in condizione di interloquire con l'offensore (Sez. 5, n. 10313 del 17/01/2019, Vicaretti, Rv. 276502). Ne consegue che il fatto, come accertato dalla sentenza impugnata, deve essere qualificato come ingiuria aggravata dalla presenza di più persone, ai sensi dell'art. 594, u.c., c.p., che, ai sensi dell'art. 1, comma 1, lett. C), d.lgs. 15.1.2016 n. 7, è stato depenalizzato. Una motivazione scarna, ma essenziale che non punta l’accento tanto sulla diversità “tecnologica” della chat oggetto del giudizio rispetto al precedente orientamento, certamente consolidato e maggioritario, dettato in materia di internet e di comunicazioni via email. Si tenga conto infine che ancora attualmente i social network in generale non sono classificati dalla giurisprudenza in maniera difforme rispetto alla generica rete internet. Lo stesso facebook, principe dei social network, è considerato mezzo di diffamazione al pari della stampa proprio come la normale rete internet (Cassazione penale, sez. I, 28/04/2015, n. 24431), senza alcuna distinzione e senza tenere in alcuna considerazione al possibilità da parte dell’offeso di poter interagire, nei social network, con l’offensore. Sotto questo profilo la sentenza in commento ha caratteristiche innovative avendo ben distinto all’interno dei reati di opinioni commessi con l’uso della rete telematica internet il social network adottato nel caso di specie.

nei documenti la giurisprudenza citata.
riproduzione riservata citare sempre la fonte www.avvocatosalvatorepiccolo.it - commento a cura dell'Avv. Salvatore Piccolo


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