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Siamo tutti camorristi?

26-11-2010 13:04 - Cronaca
Anche noi ci siamo rallegrati quando finalmente il camorrista latitante Antonio Iovine è stato arrestato. Tuttavia, adesso che è trascorso qualche giorno, è possibile tentare una analisi più approfondita della vicenda ed in generale della grave piaga della criminalità organizzata che affligge il mezzogiorno d´Italia ed il nostro territorio in particolare. Premettiamo che una lotta alla fenomeno non solo è indispensabile per ovvi motivi di sicurezza pubblica, ma è oltremodo necessaria per poter sperare in una ripresa economica delle nostre terre. Nessuna azienda seria, multinazionale o anche italiana potrebbe pensare di investire nel sud sapendo di dover poi avere a che fare, con una struttura militarmente organizzata, capace di distruggere l´investimento. In passato le politiche di incentivi per gli investimenti al sud potevano in qualche modo bilanciare, in termini economici, le "spese" che l´azienda sosteneva per fronteggiare i costi criminali. Costi sostenuti non soltanto in termini di "tangenti", ma anche nell´imposizione di fornitori, di lavoratori "consigliati" dai clan e quindi privi delle necessaria qualità. Ebbene in occasione del recente arresto del capo camorrista Iovine il ministero dell´Interno ha diffuso una serie di dati che devono far riflettere anche in termini di strategie di contrasto alla criminalità meridionale. Nell´ultimo periodo -ha comunicato il ministero - sono stati arrestati 6754 mafiosi e 410 latitanti, mentre i beni sequestrati ammontano alla cifra "strabiliante" di 17.854 Milioni di euro e 35.601 beni, con un incremento nei sequestri del 295% rispetto allo stesso periodo dell´anno scorso. Il fondo unico giustizia, nel quale confluiscono i denari sequestrati alla criminalità organizzata, ammonta in totale a circa 3 miliardi di euro. In altre parole questi dati significano che una intera cittadina del meridione, essendo il fenomeno di queste parti, è stata arrestata perché mafiosa. E dobbiamo pensare ad una cittadina grande perché se ai 6.754 arresti aggiungiamo i parenti, gli amici, e quelli ancora non scoperti diventa un numero impressionante. Appare evidente che il fenomeno è diffuso e, purtroppo molto radicato, soprattutto se si considera che 17.854 Milioni di euro e 35.601 beni sequestrati rappresentano, in termini economici, la principale fonte di economia di queste parti. La spasmodica ricerca di lavoro e l´obbligo di confrontarsi con coloro che hanno in mano le redini dell´economia creano un ulteriore e più grave complicazione. I clan godono di un certo consenso popolare tra le genti del meridione. Possono offrire posti di lavoro. Essendo numerosi gli affiliati possono condizionare il risultato di qualsiasi consultazione elettorale. Risolvono, a modo loro, controversie che se affidate ai Tribunali meridionali rischiano di essere trasmesse in eredità. Il fenomeno, è dunque, molto serio e difficile da risolvere. Crediamo che la strategia che lo stato debba mettere in campo debba essere diversa. Non basta la sola repressione. Bisogna convincere il popolo di Italia, meridionali compresi, che giù al sud non sono tutti camorristi o mafiosi. Bisogna rilanciare il meridione con nuovi modelli di sviluppo che riescano a coniugare il momento repressivo con un importante segno di sviluppo attraverso la necessaria attenzione che si deve a chi rischia di intraprendere al sud. Bisogna prestare la massima attenzione ai pochi coraggiosi capaci di ribellarsi al sistema, ma essere anche noi nella quotidianità a far comprendere la necessità della legalità. E´ difficile. Tuttavia crediamo che essendo le mafie un fenomeno umano, siano destinate ad avere un inizio ed una fine, come affermava Giovanni Falcone.

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