«Non dimentico come ti adoperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati Uniti: venni a chiederti consiglio nel tuo studio a Palazzo Chigi, mi assicurasti il sostegno della nostra ambasciata a Washington, mi mettesti in contatto con Dini, a casa del quale potei incontrare il rappresentante del Fondo monetario», è questo il testo del messaggio inviato da
Giorgio Napolitano a Giulio Andreotti molti anni dopo per ringraziarlo dell'interessamento per consentire al dirigente comunista di entrare negli USA. Un primo visto era stato negato nel 1975, per singolare coincidenza il visto fu approvato nel 1978 e Napolitano si recò in America proprio mentre in Italia era in corso il rapimento di Aldo Moro. Quella visita fu il viatico per un brillante carriera politica che vide Napolitano essere il primo comunista ad assumere l'incarico di Ministro degli Interni (1996) con Prodi premier, poi fi il primo Presidente della Repubblica comunista e poi il primo ad essere rieletto alla massima carica, una rielezione che in passato autorevoli studiosi ritenevano non consentita, non già da una specifica norma di legge, ma dal complesso dell'ordinamento pubblico italiano. Non fu un comunista duro e puro, ma esponente apicale di una componente, definita migliorista, che auspicava una trasformazione in senso socialdemocratico del comunismo italiano. Questa posizione lo portava ad essere l'unico avversario, degno di rilievo, interno del PCI di
Enrico Berlinguer. Il fatto stesso che Berlinguer fosse contrastato a destra da un migliorista faceva apparire il politico sardo come un conservatore dell'ortodossia marxista, cosa che invece era lontana dalla realtà, basti pensare all'eurocomunismo. Da Presidente della Repubblica, eletto con i voti del blocco di centro sinistra negli anni dell'Ulivo di
Prodi, doveva essere una sorta di garanzia per una stabilità del bipolarismo magari, nelle intenzioni di chi lo aveva eletto, guardando con particolare attenzione all'area politica di centrosinistra. Invece Prodi e l'Ulivo persero l'occasione storica di costruire una modello politico riformista e strutturato e soprattutto non ebbero la forza di proporre riforme di sistema idonee a fondare una seconda Repubblica. Ben presto la politica tradizionale, anche per effetto di una forte concentrazione del fronte di centrodestra sulla figura di Berlusconi che aveva resistito agli attacchi giudiziari capitolando rispetto agli scandali legati ad una movimentata vita privata, fu travolta dall'antipolitica e Napolitano si fece patrono di un governo del “presidente” con Mario Monti. Un governo di lacrime e sangue da molti giudicato negativamente. La rielezione, avversata dallo stesso Napolitano, fu il sigillo alla crisi definitiva della politica anche per effetto di una effettiva scadenza del ceto parlamentare.