22 Settembre 2023
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1943-2023, 80 anni fa. Prima parte, il campo di concentramento di Sparanise

09-09-2023 00:13 - Storia
Sono passati 80 anni, ma quei terribili giorni del 1943, dal mese di settembre al 23 ottobre, hanno segnato per sempre la storia di Sparanise e sono rimasti indelebili nella memoria collettiva del centro caleno. In occasione dell'ottantesimo anniversario di questi drammatici eventi abbiamo deciso di approfondire gli accadimenti in tre distinti episodi. Il primo riguarda il centro di raccolta di prigionieri di Sparanise. Poi racconteremo dei bombardamenti che hanno interessato anche Sparanise ed infine l'eccidio nazifascista del 22 ottobre.

Fino all'8 settembre la guerra nell'agro caleno aveva avuto come conseguenza la partenza degli uomini arruolati nelle spedizioni militari di Russia e nella guerra in Africa, ma il territorio non aveva subito alcuna conseguenza. I primi bombardamenti alleati che partivano dalla Sicilia avevano iniziato a prendere di mira Napoli il 4 dicembre 1942, per poi proseguire con cadenza quotidiana. La popolazione civile che affollava il capoluogo campano prese la decisione di “sfollare”, raggiungere parenti o amici in zone periferiche o di campagna ritenute al riparo, perché prive di obbiettivi sensibili, dalle bombe sganciate dall'aviazione alleata. La notizia dell'armistizio segnò anche il ritorno di qualche militare che aveva preso la via di casa a causa dello sbandamento dell'esercito italiano rimasto senza ordini dopo la fuga del governo e del Re a Brindisi.

I tedeschi, già dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943, avevano stabilito di occupare l'Italia, principalmente il settentrione perché ormai le truppe alleate avevano già completato lo sbarco in Sicilia e si apprestavano a risalire la penisola, ma i tedeschi avevano approntato un strategia difensiva che prevedeva una grossa linea di resistenza, denominata Gustav, che aveva come caposaldo Cassino a sua volta difesa da ulteriori piccole linee difensive create anche sfruttando la particolare morfologia del territorio che dall'alto casertano inizia a presentare le imponenti montagne del Matese da una parte ed il gruppo vulcanico di Roccamonfina dall'altro. Hitler in persona aveva dato ordine di ritardare il più possibile la liberazione dell'Italia e ti tenere aperto il fronte sino all'ultima munizione. Sparanise aveva una delle ferrovie meglio attrezzate dell'alto casertano perché dalla stazione di Sparanise, posizionata sulla tratta Napoli-Roma via Cassino, partiva anche una linea ferroviaria diretta a Gaeta. Uno snodo ferroviario, quello di Sparanise, rilevante.

La cosa non poteva sfuggire ai tedeschi che presidiavano la cittadina calena avendo come quartier generale due masserie requisite ai coloni che le detenevano con i contratti agrari dell'epoca. La prima e più importante era la masseria Grande situata fuori al centro abitato sulla via Appia al confine con Pignataro Maggiore. Esistevano poi degli alloggi militari, nei pressi della stazione ferroviaria, allineati lungo una strada che conduceva al centro cittadino evitando di percorrere la principale arteria, viale Ferrovia, che invece portava direttamente in piazza dove trionfava, accanto alla chiesa dell'Annunziata, la casa del Fascio costruita durante il ventennio di fronte al vecchio municipio. I tedeschi si stabilirono negli alloggi militari che poi dopo la guerra furono sostituiti dagli alloggi del piano casa voluto da Fanfani, i complessi popolari dell'Ina. Tra la stazione ferroviaria e gli alloggi militari esisteva un lungo spiazzo carraio destinato al carico delle merci per la stazione e poi ancora, verso gli alloggi, anche un campo sportivo realizzato alla meglio, in terra battuta. In questa zona adiacente alla stazione i tedeschi, a far data dalla metà del mese di settembre, iniziarono a costruire con reticolati metallici, filo spinato e grandi cancellate un centro provvisorio di raccolta di prigionieri. Un campo di grosse dimensioni vicino ai binari ferroviari senza costruzioni, ma solo con una baracca attrezzata come infermeria. Il centro di raccolta iniziò a popolarsi di prigionieri, tra questi qualche militare inglese, ma soprattutto uomini rastrellati in tutta la zona da Napoli a Caserta che erano abili al lavoro e soprattutto non si erano presentati volontariamente ad un decreto per il servizio obbligatorio fatto affiggere per le strade cittadine dal colonnello Walter Scholl, comandante delle truppe tedesche a Napoli. Secondo il colonello tedesco tutti gli uomini dai 16 ai 55 anni dovevano presentarsi per essere avviati al lavoro, in realtà Kesserling aveva programmato la deportazione in massa degli uomini abili al lavoro per essere condotti in Germania nelle fabbriche del Reicht. I napoletani, noti per il famoso motto “ca nisciuno è fesso”, disertarono la convocazione di massa e Scholl fece affiggere per i muri della città un ulteriore avviso datato 23 settembre. «Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno risposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Ancora oggi a Napoli per indicare una condizione di estremo pericolo si dice "siamo con le scholle in fronte", indicando proprio i provvedimenti del temibile colonello Scholl.
Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati. Il Comandante di Napoli, Scholl». Fortunatamente Scholl non tenne fede alle minacce e tutti gli uomini rastrellati, fatti prigionieri, dovevano essere avviati al lavoro in forma coatta. I primi centri di raccolta si trovavano in caserme con spazi aperti capienti, come la caserma dell'esercito di Maddaloni, ma quando si rese disponibile il centro di Sparanise fu quel centro ad essere il punto di riferimento per le deportazioni in Germania. Il centro di raccolta funzionò per non più di 30 giorni, fino a qualche giorno prima della liberazione di Sparanise del 23 ottobre 1943, ospitò decine di migliaia di uomini, tra questi molti ragazzi che venivano scambiati per maggiorenni ed anche molti anziani che non venivano creduti aver superato i 55 anni. Numerose sono state le testimonianze di uomini che sono passati per Sparanise, tra questi anche Ciro Cirillo poi divenuto Presidente della Regione Campania e vittima del clamorso sequestro delle Brigate Rosse negli anni 80, ma tanti altri hanno raccontato la loro vicenda. Tra questi Giuseppe Spera, un giovane ventenne, che ha raccontato la propria prigionia in un testo “L'anno 1943 nella valle del Sarno” edito da Scalaeditrice nel 1996. Racconta Spera che il 23 settembre 1943 “ Assieme al fratello Nino e a un'altra trentina di uomini, fu portato nel campo di raccolta provvisorio di Foce nelle vicinanze dell'omonimo convento (nei pressi di Sarno nda), già gremito di centinaia di uomini rastrellati nel corso dei giorni precedenti, oltre ad alcuni prigionieri inglesi. Il giorno successivo essi furono trasferiti nel campo di concentramento di Sparanise, anch'esso campo di raccolta provvisorio ubicato nelle immediate vicinanze della stazione ferroviaria e dunque in posizione strategica per il trasferimento dei prigionieri in Germania. Il campo era delimitato da reticolato sorvegliato da sentinelle e all'interno si trovava una sola baracca di legno adibita a infermeria. Non c'erano spazi coperti per riparo (solo più tardi giunse del legname per la costruzione di piccoli ricoveri), né cucine da campo, né fontane da cui poter attingere acqua, né servizi igienici, con i sorveglianti tedeschi sempre pronti a intervenire a colpi di bastone e a minacciare con le armi. I prigionieri poterono però contare sulla speciale e preziosa solidarietà delle donne di Sparanise che riuscirono a rifornirli di prodotti alimentari, portando «loro cibo e conforto», oppure aiutandoli a evadere. Dopo la liberazione di un centinaio tra anziani al di sopra dei 55 anni e giovani al di sotto dei sedici anni, fra cui con vari escamotage anche del fratello Nino (che aveva 18 anni), Giuseppe Spera fu incluso in un gruppo costituito da una ventina di uomini «di robusta costituzione fisica» che vennero portati alla stazione di Vairano scalo. Da lì dieci di essi con cinque autocarri partirono per Venafro, mentre i restanti dieci, fra cui Giuseppe Spera, si avviarono in direzione di Cassino, città che raggiunsero dopo tre ore di viaggio.”

Dopo aver effettuato alcuni lavori forzati per i tedeschi che stavano rafforzando tutta la zona a ridosso di Cassino riempiendo ogni anfratto naturale di mitragliatrici pesanti, scavando trincee ed altro, fece ritorno la sera del 26 settembre 1943, accompagnato da una «pioggerellina continua e fastidiosa», al campo di Sparanise. Qui erano iniziate le «prime fortunate evasioni» di prigionieri favorite dalle donne del posto ma pure da qualche sentinella di buon cuore. Anche Giuseppe Spera tentò di evadere ma fu bloccato mentre era per metà del corpo già oltre il reticolato. Due giorni più tardi, il 28 settembre, i prigionieri furono radunati al centro del campo, pronti a salire a bordo di un lungo treno formato da carri bestiame che stazionava nel vicino scalo ferroviario, per essere deportati in vari lager del Reich. Tutti erano «orami rassegnati a partire» quando all'improvviso avvenne «qualcosa di miracoloso». Una pioggia intensissima, «con lampi e folgori» e tuoni, costrinse non solo i prigionieri ma anche i soldati tedeschi a cercare riparo. Giuseppe Spera e altri tre suoi compagni si rifugiarono nella baracca adibita a infermeria. Il campo era immerso nella totale oscurità ma i tedeschi, cessato l'acquazzone, alla luce delle fotoelettriche radunarono nuovamente i prigionieri nel centro del campo, li scortarono alla stazione e li fecero salire sul treno (partirono così circa 4.000 uomini cui seguirono nei giorni successivi altri due convogli sempre di prigionieri civili). Giuseppe Spera e gli altri tre non si mossero dalla baracca, né nessuna sentinella si occupò di loro. Al mattino dopo il campo si presentava totalmente vuoto ma verso le dieci arrivarono altri automezzi tedeschi che scaricavano nuovi prigionieri rastrellati in vari Comuni. Giuseppe Spera si mescolò a loro e riuscì a evadere oltrepassando il reticolato. Una sentinella accortasi della fuga gli sparò un colpo di fucile che sibilò sulla sua testa, ma poi con l'aiuto delle donne di Sparanise, «veramente meravigliose», e con un po' di fortuna riuscì a raggiungere la campagna circostante. A piedi, tra mille insidie, sempre timoroso di incontrare soldati tedeschi, improvvisandosi acrobata per oltrepassare il fiume Volturno, scampando a retate e cannoneggiamenti, passando per Capua, Santa Maia Capua Vetere, Marcianise raggiunse Maddaloni che alle sette del mattino del 6 ottobre 1943 venne liberata dall'avanguardia dell'VIII armata britannica.

Ciro Cirillo invece raccontò la vicenda della prigionia a Sparanise nel 2008 quando fu ospite del Comune di Sparanise in un convegno dedicato all'argomento. Nel settembre del 1943 — raccontò l'allora ottantaseienne politico democristiano — sopravvissi a un bombardamento alleato, nel quale perirono sette persone della mia famiglia. Rimasi solo con mio padre pensionato. In qualche momento pensai anche di farla finita. Poi, fui fatto prigioniero dai tedeschi che mi portarono nel campo di Sparanise. Ci dissero che avremmo dovuto fare la fila per avere da mangiare, invece mi accorsi che la fila terminava su un treno pronto per la partenza. Quando giunsi a una ventina di metri dal convoglio ebbi un'illuminazione. Feci una deviazione e, sotto gli occhi dei soldati, andai a rimettermi in coda, sicché, prima che arrivasse di nuovo il mio turno, il treno era già pieno. Nei giorni seguenti, aiutandomi col mio francese, riuscii a parlare con un ufficiale. Gli spiegai che in quelle condizioni non avrei retto il viaggio. E che in Germania sarebbe arrivato solo il mio cadavere. Gli dissi anche di mio padre, rimasto solo. Mi fece cenno di andare. Credevo mi stesse concedendo un permesso. Invece mi disse che potevo andare via. E di fare in fretta. "Vite,vite". Ero libero


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