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Non va sospeso il processo civile iniziato dopo la sentenza di condanna del danneggiato emessa nel processo penale. Commento a Sezioni Unite 13661/2019

18-06-2019 12:42 - Diritto
Con la sentenza in commento , la numero 13661 depositata il 21 maggio 2019, le sezioni uniti rivedono la questione della sospensione del processo civile , seppure nella specifica fattispecie del procedimento civile iniziato solo dopo la sentenza penale di condanna (art.75 comma 3 c.p.p.) , ribaltando il preesistente orientamento di senso contrario. Alla base della motivazione importanti argomentazioni in materia di unitarietà della giurisdizione, di unità delle decisioni e pregiudialità di giudizi.

Il caso.
Il caso trattato riguardava un’azione di risarcimento danni proposta da alcuni prossimi congiunti per la morte del loro parente avvenuta in un sinistro stradale. Azione di responsabilità nei confronti del proprietario e conducente del veicolo investitore e nei confronti della compagnia di assicurazione del veicolo per R.C.A.. Il giudice istruttore aveva disposto la sospensione del processo in seguito della costituzione come parti civili dei fratelli della vittima nel processo penale promosso nei confronti del proprietario-conducente perché nel processo penale era stata pronunciata sentenza di primo grado di condanna dell'imputato. Soltanto dopo la pubblicazione della sentenza penale, di primo grado, di condanna era stata promossa l'azione civile. Contro l'ordinanza di sospensione gli attori del processo civile
hanno proposto regolamento di competenza.

Il presistente orientamento giurisprudenziale.
La questione rimessa concerne l'identificazione dei presupposti legali soggettivi di operatività della sospensione necessaria del processo civile di risarcimento del danno derivante da reato promosso quando nel processo penale sia stata già pronunciata la sentenza di primo grado. Prevale questo profilo quando non v'è coincidenza tra i soggetti che si sono costituiti parti civili nel processo penale e coloro che hanno promosso, anche mediante spendita di diversa qualità, il giudizio civile. La questione è determinata dalla circostanza che i danneggiati hanno proposto la domanda risarcitoria, in sede civile, nei confronti nonsoltanto dell'imputato-danneggiante, ma anche di altra litisconsorte,ossia della società assicuratrice della responsabilità civile.
Se non vi fosse il cumulo soggettivo, ovvero la presenza di un soggetto ultroneo rispetto al procedimento penale (la compagnia di assicurazione) non vi sarebbe difatti dubbio alcuno sull'applicabilità dell'art. 75, 3° co., c.p.p., secondo cui «Se l'azione è proposta in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale o dopo la sentenza penale di primo grado, il processo civile è sospeso fino alla pronuncia della sentenza penale non più soggetta a impugnazione, salve le eccezioni previste dalla legge».
In presenza , invece, del cumulo soggettivo l’orientamento prevalente della Suprema Corte è, con riguardo all'ipotesi della proposizione dell'azione in sede civile nei confronti dell'imputato dopo la costituzione di parte civile nel processo penale, di non consentire la
sospensione. E ciò tanto se si abbia riguardo a un'ipotesi di litisconsorzio facoltativo, quanto se il cumulo scaturisca da litisconsorzio necessario, e indipendentemente dal fatto che alcuno o tutti fra i coobbligati siano stati citati nel processo penale come responsabili civili (Cass., ord. 26 gennaio 2009, n. 1862; 13 marzo 2009, n. 6185 e 18 luglio 2013, n. 17608).
La sospensione non si giustifica, secondo questo prevalente orientamente, con riguardo al responsabile civile, perché la proposizione successiva dell'azione risarcitoria in sede civile comporta la revoca tacita della costituzione di parte civile, con la conseguente inapplicabilità delle previsioni in materia di efficacia del giudicato penale previste dall'art.651 c.p.p. e l'inutilità dell'attesa degli esiti del processo penale.
Con riguardo all’imputato neppure è giustificabile la sospensione. In caso di litisconsorzio necessario, perché la necessarietà del cumulo non consente la separazione delle domande; in ipotesi di litisconsorzio facoltativo, perché il 3° comma dell'art. 75 c.p.p. siriferisce alla causa tra singole parti, e non già al cumulo soggettivo.
La sospensione necessaria prevista dall'art. 75, 3° co., c.p.p., in effetti , sanziona la scelta compiuta dal danneggiato che abbia optato sin dall'inizio per la proposizione in seno al processo penale della propria domanda risarcitoria: in tal caso, anche se dismette la qualità di parte civile, egli dovrà sottostare all'accertamento dei fatti compiuto in sede penale.
Analogamente, se il danneggiato abbia trascurato il processo penale, in seno al quale pure abbia avuto possibilità di costituirsi parte civile e neppure abbia agito in sede civile, dovrà subire la sospensione del processo civile che abbia avuto inizio dopo la sentenza di
primo grado di condanna dell'imputato, per il disinteresse per l'azione civile da lui mostrato (Cass., ord. 24 aprile 2009, n. 9807). Seppure sotto il profilo logico appare evidente che una scelta simile del danneggiato, che pur non costituendosi parte civile nel processo penale, abbia atteso una sentenza di responsabilità penale dell’imputato per intraprendere l’azione civile, siccome la costituzione di parte civile nel processo penale non è più ammissibile, rappresenti una scelta di enorme saggezza. Prima di intraprendere dispendiose azioni giudiziarie per conseguire il risarcimento del danno attendere almeno la prima sentenza.

La proposta della sezione rimettente.
la terza sezione civile dubita che la soluzione restrittiva sui limiti della sospensione prevista dall'art. 75, 3° co., c.p.p. sia convincente.
Le obiezioni muovono, in generale, dall'individuazione della ratio posta a sostegno della sospensione necessaria nell'esigenza di prevenire il rischio di un esito potenzialmente difforme del giudizio civile rispetto a quello del giudizio penale in relazione alla sussistenza di uno o più presupposti di fatto comuni e, in particolare, puntano sull'interesse dell'imputato di potersi valere dell'eventuale giudicato penale di assoluzione.
L'esclusione della sospensione non sarebbe idonea ad equilibrare gli interessi in conflitto, ossia dell'interesse del danneggiato, volto a conseguire senza dilazione il ristoro del danno subìto, e di quello dell'imputato, rivolto all'accertamento della propria estraneità o, comunque, dell'esclusione della propria colpevolezza rispetto al reato contestato.
Questione di rilievo costituzionale in considerazione del fatto che l’imputato vanta tutele costituzionali rilevanti. Si pensi agli artt. 3 e 24Cost., laddove l'opponibilità del giudicato di assoluzione ai danneggiati finirebbe col dipendere dalla scelta processuale del titolare della pretesa risarcitoria di agire in sede civile soltanto nei confronti dell'imputato oppure anche nei confronti degli altri coobbligati.
In conclusione, prospetta la terza sezione civile, la tutela dell'interesse dell'imputato, secondo una lettura delle norme costituzionalmente orientata, dovrebbe comportare la sospensione della sola domanda proposta nei suoi confronti, in caso di litisconsorzio facoltativo, e la sospensione di tutto il processo, al cospetto di litisconsorzio necessario.

La soluzione delle sezioni unite.
Le sezioni uniti unite invece ribaltano il preesistente e prevalente orientamento. Negando la necessità della sospensione del processo civile dopo la sentenza penale di primo grado. Il principio di diritto è il seguente:
"In tema di rapporto tra giudizio penale e giudizio civile, i casi di sospensione necessaria previsti dall'art. 75, 3° co., c.p.p., che rispondono a finalità diverse da quella di preservare l'uniformità dei giudicati, e richiedono che la sentenza che definisca il processo penale influente sia destinata a produrre in quello civile il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p., vanno interpretati restrittivamente, di modo che la sospensione non si applica qualora il danneggiato proponga azione di danno nei confronti del danneggiante e dell'impresa assicuratrice della responsabilità civile dopo la pronuncia di primo grado nel processo penale nel quale il danneggiante sia imputato"
L’iter argomentativo delle Sezioni Uniti parte dall’inquadramento storico-sistematico delle norme relative alla prevalenza tra giudizio penale e civile.
La disposizione di cui all’art.75 comma 3 c.p.p. è frammento dell'ampia earticolata disciplina dei rapporti tra processo civile e processo penale, radicalmente rinnovata dalla riforma del codice di procedura penale, e va dunque interpretata alla luce del microsistema prefigurato dal legislatore per il raccordo tra i due giudizi.
Il codice del 1988 ha ripudiato il principio di unità della giurisdizione e di prevalenza del giudizio penale (che ancora oggi lascia diversi strascichi sovente in relazione al’organizzazione degli uffici giudiziari n.d.a.), in favore di quello della parità e originarietà dei diversi ordini giurisdizionali e dell'autonomia dei giudizi (tra varie, Cass., sez. un., 11 febbraio1998, n. 1445 e sez. un., 26 gennaio 2011, n. 1768).
Quel che prevale è l'esigenza di speditezza e di sollecita definizione del processo penale, rispetto all'interesse del soggetto danneggiato di esperire ivi la propria azione (Corte cost. 21 aprile2006, n. 168 e 28 gennaio 2015, n. 23). Sicché si è scoraggiata la proposizione dell'azione civile nel processo penale (in termini, Corte cost. 29 gennaio 2016, n. 12) e si è favorita la separazione dei giudizi.
Per liberare il giudice penale dall'esame di questioni che non debbano essere accertate ai fini del giudizio sulla responsabilitàpenale dell'imputato, il l 0 comma dell'art. 75 c.p.p., stabilisce che «L'azione civile proposta dinanzi al giudice civile può essere trasferita nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito anche non passata in giudicato.L 'esercizio di tale facoltà comporta rinuncia agli atti del giudizio».
Il danneggiato è incoraggiato a evitare la costituzione di parte civile e a promuovere la propria pretesa in sede civile, anche per poter sfuggire agli effetti del giudicato di assoluzionedell'imputato-danneggiante.
Qualora, difatti, a norma del 2° comma dell'art. 75 c.p.p.,«L 'azione civile prosegue in sede civile se non è trasferita nel processo penale o è stata iniziata quando non è più ammessa la costituzione di parte civile», la sentenza dibattimentale irrevocabile di assoluzione dell'imputato-danneggiante (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell'adempimento di un dovere o nell'esercizio di una facoltà legittima) non sarà opponibile al danneggiato, in base al l o comma dell'art. 652 c.p.p.
Il 2° comma dell'art. 75 c.p.p. mostra quindi che, di per sé, la pendenza del processo penale non condiziona lo svolgimento di quello civile; sicché la priorità logica del fatto di reato rispetto al risarcimento del danno e alle restituzioni conseguenti non implica necessariamente la priorità cronologica dei relativi accertamenti.
E’ possibile di conseguenza la possibilità di contraddizione logica, non pratica, in considerazione della diversità di oggetto dei due processi e tra le due decisioni relative alla responsabilitàdell'imputato-danneggiante (ne prende atto Cass. 17 febbraio 2010,n. 3820, richiamata, tra varie, da Cass. 22 giugno 2017, n. 15470).
In questo contesto allora, il valore dell'uniformità dei giudicati acquista valenza negativa.
Le sezioni unite hanno d'altronde già da tempo rimarcato, con riguardo alla valenza dell'art. 75 c.p.p., che esso ha ceduto il passo a quello del giusto processo, in virtù del quale in tanto la sentenza è giusta in quanto l'applicazione della legge sia avvenuta nell'ambito di un procedimento nel quale sia stato pienamente assicurato il diritto di difesa (Cass., sez. un., ord. 5 novembre 2001, n. 13682).
Sul piano generale, poi, il valore dell'uniformità dei giudicati (o comunque delle decisioni) ha perso d'importanza, come si evince, oltre che dai riferimenti indicati nell'ordinanza n. 13682/01, altresì da indicatori di altri comparti.
A titolo d'esempio, in tema di giudizio tributario, l'art. 20 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 stabilisce che:«Il procedimento amministrativo di accertamento ed il processo tributario non possono essere sospesi per la pendenza del procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti o fatti dal cui accertamento comunque dipende la relativa definizione».
Quanto al rapporto col processo penale del procedimento disciplinare nei confronti degli avvocati, l'art. 54 della l. 31 dicembre 2012, n. 247, che detta la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, sancisce che: «Il procedimento disciplinare si svolge ed è definito con procedura e con valutazioni autonome rispetto al processo penale avente per oggetto i medesimi fatti» (l o co.) e che soltanto «Se, agli effetti della decisione, è indispensabile acquisire atti e notizie appartenenti al processo penale, il procedimento disciplinare puòessere a tale scopo sospeso a tempo determinato. La durata della sospensione non può superare complessivamente i due anni; durante il suo decorso è sospeso il termine di prescrizione» (2° co.).
L'art. 55-ter del d.lgs. 30 marzo 2001, n.165, relativo al giudizio disciplinare del lavoratore pubblico con rapporto contrattuale, secondo cui:«Il procedimento disciplinare, che abbia ad oggetto, in tutto o in parte, fatti in relazione ai quali procede l'autorità giudiziaria, è proseguito e concluso anche in pendenza del procedimento penale». Sul punto, la giurisprudenza di questa Corte è ferma nel sostenere la mera facoltatività della sospensione del primo in attesa dell'esito del secondo (Cass. 5 aprile 2018, n. 8410).
D'altronde, persino in seno al medesimo giudizio penale è possibile che vi sia difformità di decisioni: si consideri la possibilità riconosciuta dall'art. 576 c.p.p. alla parte civile d'impugnare, ai soli effetti della responsabilità civile, la sentenza di proscioglimento pronunciata nel giudizio (purché l'accertamento sia destinato a produrre gli effetti previsti dall'art. 652 c.p.p.: Cass., sez. un. pen.,29 settembre 2016, n. 46688, Schirru).
Tutti i casi indicati depongono per l’affermazione di una considerazione: il favore per la separazione dei giudizi comporta l'accettazione del rischio di difformità dei giudicati ai quali i giudizi separati conducano.
Per risolvere la questione non si può invocare quindi la pregiudizialità penale ed il rischio di difformità di giudicati.
Del resto, anche la tecnica processuale per l'operatività della sospensione necessaria ex art. 75, 3° co., c.p.p. differisce da quella che opera al cospetto di sospensione necessaria per pregiudizialità.
Nel primo caso, e in particolare nell'ipotesi in esame, è la pronuncia della sentenza di primo grado nel processo penale a determinare la sospensione del giudizio civile iniziato dopo.
Nel secondo, quando il processo pregiudicante è stato definito con sentenza non passata in giudicato, il giudizio pregiudicato può essere sospeso -ex art. 337, 2° comma, c.p.c.- e non deve esserlo ex art. 295 c.p.c. (Cass., sez. un., 19 giugno 2012, n. 10027; conf.,in relazione al caso in cui la sentenza di primo grado, la cui autorità è invocata, sia stata emessa dal giudice amministrativo, sez. un., 30 novembre 2012, n. 21348, nonché, da ultimo, in termini, ord. 4 gennaio 2019, n. 80).
Quel che rileva ai fini della sospensione del giudizio civiledi danno ex art. 75, 3° co., c.p.p., fuori dal caso in cui i giudizi di danno possono proseguire davanti al giudice civile ai sensi del precedente 2° comma, è che la sentenza penale possa esplicare efficacia di giudicato nell'altro giudizio, ai sensi degli artt. 651, 651-bis, 652 e 654 c.p.p.
Imporre al danneggiato-attore che si sia tardivamente rivolto al giudice civile di attendere l'esito del processo penale ha senso soltanto se e in quanto quest'esito, se definitivo, sia idoneo a produrre i propri effetti sul processo civile. Lo si evince dall'art. 211 disp. att. c.p.p., a norma del quale «Salvo quanto disposto dall'articolo 75 comma 2 del codice, quando disposizioni di legge prevedono la sospensione necessaria del processo civile o
amministrativo a causa della pendenza di un processo penale, il processo civile o amministrativo è sospeso fino alla definizione del processo penale se questo può dare luogo a una sentenza che abbia efficacia di giudicato nell'altro processo e se è già stata esercitata l'azione penale».
Per effetto di questa ratio che si è esclusa la sospensione del processo civile nei confronti delle -sole- parti diverse dall'imputato-danneggiante, alle quali siano ascritti fatti differenti da quelli oggetto di accertamento nel processo penale (Cass., ord. L luglio 2005, n. 14074; ord. 16 marzo 2017, n. 6834 e 11 luglio 2018, n. 18202).
Quando, invece, i fatti siano i medesimi, il vincolo rispettivamente previsto dagli artt. 651 e 651-bis c.p.p. si potrebbe produrre nei confronti del responsabile civile soltanto qualora il processo risarcitorio sia promosso nei suoi confronti da un danneggiato diverso da colui che abbia proposto l'azione civile nel processo penale: solo in questo caso, e se il responsabile civile sia stato regolarmente citato o abbia spiegato intervento in sede penale,il giudicato di condanna del danneggiante-imputato o quello del suo proscioglimento per particolare tenuità del fatto avranno effetto verso di lui nel giudizio di danno. Sulla pretesa del danneggiato costituitosi parte civile si può difatti decidere in sede civile soltanto se la parte civile sia uscita dal processo penale per revoca o estromissione; e poiché l'esodo della parte civile comporta che la citazione o l'intervento del responsabile civile perdono efficacia (a norma, rispettivamente, degli artt. 83, 6° co., e 85, 4° co., c.p.p.), viene meno la condizione pretesa dagli artt. 651 e 651-bis c.p.p. per la produzione degli effetti ivi previsti nei confronti del responsabile civile, ossia che il «responsabile civile sia stato citato o sia intervenuto nel processo civile».
A maggior ragione il vincolo non si può produrre in un caso, come quello in esame, in cui non v'è coincidenza tra le parti civili nel processo penale e gli attori del processo civile, nel senso già specificato, e non vi sono stati citazione o intervento del responsabile
civile nel processo penale.

Il che esclude anche la possibilità che si potesse determinare il vincolo previsto dall'art. 652, l 0 co., c.p.p.
Le ipotesi di sospensione previste dal 3° comma dell'art. 75 c.p.p. rappresentano pur sempre una deroga rispetto alla regola generale, che è quella della separazione dei giudizi e dell'autonoma prosecuzione di ciascunodi essi.
La natura derogatoria della disposizione ne impone interpretazioni restrittive; e, in virtù di quest'interpretazione restrittiva occorre che tra i due giudizi vi sia identità, oltre che di oggetto, anche di soggetti, alla stregua dei comuni canoni di identificazione delle azioni (Cass., sez. un., 18 marzo 2010, n. 6538).
Estendere l'applicazione di un'ipotesi derogatoria a un caso, come quello in esame, in cui tutte le parti del giudizio civile non coincidano con tutte quelle del processo penale, sacrificherebbe in maniera ingiustificata l'interesse dei soggetti coinvolti alla rapida definizione della propria posizione, in aperta collisione con l'esigenza di assicurare la ragionevole durata del processo, presente nel nostro ordinamento ben prima dell'emanazione dell'art. 111, 2° comma, Cost., e comunque assurta a rango costituzionale per effetto di esso.
Va considerato anche che la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo (Corte Edu 1 luglio 1997, Torri c. Italia), nel verificare il rispetto del diritto della parte civile alla ragionevole durata del processo di danno, garantito dall'art. 6.1 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, ha ritenuto che debbano essere computate cumulativamente la durata del processo penale, dal momento della costituzione di parte civile, e quella del successivo processo civile per la liquidazione del danno. E queste valutazioni rilevano indipendentemente dalla natura del litisconsorzio che lega le parti, necessario o facoltativo.
La separazione e l'autonomia dei giudizi comportano che il giudizio civile sia disciplinato dalle sole regole sue proprie, che largamente si differenziano da quelle del processo penale, non soltanto sotto il profilo probatorio, ma anche, in via d'esempio, con riguardo alla ricostruzione del nesso di causalità, che risponde, nel processo penale, al canone della ragionevole certezza (Cass., sez. un. pen., 10 luglio 2002, n. 30328; sez. un. pen., 24
aprile 2014, n. 38343 e 4 maggio 2017, n. 33749) e, in quello civile, alla regola del "più probabile che non" (tra varie, Cass., sez. un., 11 gennaio 2008, n. 576 e ord. 27 settembre 2018, n. 23197). Sotto questo profilo dunque non meritevole di tutela è in questi casi l'interesse del danneggiante di attendere gli esiti del processo nel quale egli sia
imputato.
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