L'eredità di una Méhari verde: 40 anni dall'omicidio di Giancarlo Siani
23-09-2025 14:12 - Cronaca
di Salvatore Piccolo
Sono trascorsi quarant'anni da quel tragico 23 settembre 1985, una sera di fine estate a Napoli, quando la vita di Giancarlo Siani fu spezzata da dieci colpi di pistola. Aveva solo 26 anni. Un cronista precario de "Il Mattino", ma un giornalista coraggioso. La sua Méhari verde, simbolo della sua indipendenza, divenne in un istante il palcoscenico di un'esecuzione brutale, voluta dalla camorra.
Siani non era un eroe da prima pagina, ma un "manovale dell'informazione" che, armato di taccuino e di una tenacia inesauribile, aveva osato fare nomi e scenari in terra di camorra. Una camorra che pretendeva silenzio e all’omertà. Le inchieste di Siani, in particolare quella sulla "tangentopoli del dopo-terremoto", avevano già messo in luce i legami tra politica, appalti e clan camorristici. Seppure in quegli anni nessuno si permetteva di accendere i riflettori sulle faide di camorra. Ancora si combatteva la guerra tra la NCO di Cutolo e gli alleati delle nuove famiglie, i Bardellino, Nuvoletta, Alfieri, Galasso. I riflettori erano tutti per la maxi operazione contro la NCO di Raffaele Cutolo, con l'ingiusto e incredibile arresto di Enzo Tortora e oltre 800 indagati. Arresti numerosi che contribuirono ad indebolire la camorra di Cutolo e a far trionfare i camorristi alleati delle nuove famiglie, non colpiti dalla mannaia giudiziaria. Questi ultimi, una volta vinta la guerra, si evolsero nella camorra 2.0 o se vogliamo nella Gomorra magistralmente raccontata da Roberto Saviano.
Siani era uno dei pochi a scrivere della guerra e a toccare i vari pezzi da novanta dell’alleanza contro la NCO. Il suo omicidio non fu casuale. Fu la risposta spietata a un'inchiesta scomoda, in particolare a un articolo pubblicato il 10 giugno 1985. In quel pezzo, Siani aveva svelato i dissidi interni alla camorra che avevano portato all'arresto del boss Valentino Gionta, insinuando che fosse stato tradito dai suoi alleati, i Nuvoletta. Una verità scomoda, che gli costò la vita. Troppo per i Nuvoletta. Siani aveva dimostrato che il potere della criminalità non era invincibile, si potevano con facilità scoprire trame e vicende criminali e per questo doveva pagare.
Il suo sacrificio, però, non è stato vano. Oggi, a quarant'anni di distanza, la sua memoria non è affatto sbiadita. Al contrario, rivive con una forza rinnovata, diventando il simbolo di una battaglia mai conclusa: il contrasto alla camorra. La sua storia ci ricorda che il giornalismo d'inchiesta è un dovere civile che richiede coraggio, passione e integrità. Giancarlo Siani continua a parlare e il suo esempio ci invita a non voltare lo sguardo, a difendere la verità, in un'epoca in cui la superficialità dell'informazione rischia di soffocare la profondità della verità.
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