Il caso Garlasco e la crisi della Giustizia italiana.
20-05-2025 18:05 - Diritto
La Giustizia italiana sta rischiando una forte crisi di autorevolezza e di considerazione da parte dell’opinione pubblica. Da anni, trasmissioni televisive ad hoc eccitano la critica sistematica di sentenza passate in giudicate e per certi versi granitiche. Il minimo comun denominatore è che abbiano avuto ampia copertura mediatica. Poco tempo fa si è concluso il processo di revisione per la strage di Erba. In quel caso l’unico sopravvissuta alla strage, in buone condizioni di salute, nell’aula della Corte d’Assise, nel contraddittorio delle parti, aveva puntato il dito contro i due imputati in gabbia, indicando anche con parole forti ,“quel delinquente li”, la persona che aveva tentato di ucciderlo recidendogli la carotide e facendo strage di altre 4 persone, tra cui un neonato. Il testimone si era salvato solo per via di una malformazione congenita e comunque era stato giudicato morto dell’aggressore. Nell’ordinamento processuale vigente è la prova regina: testimone oculare che vede in viso l’assassino e lo riconosce in dibattimento. Non serve altro. Eppure, si è imbastito un processo di revisione ad istanza non dei difensori, ma di un magistrato di alto grado. Non è servito a niente perché i giudici della revisione hanno chiarito l’evidenza delle prove schiaccianti raccolte contro i condannati. Il magistrato però è stato sottoposto a giudizio disciplinare perché, si legge nella sentenza a Sezioni Unite della Cassazione che ha confermato la sanzione della censura, ha violato il regolamento interno dell’ufficio della Procura Generale di Milano portando avanti il procedimento di revisione: ha trattato il caso senza delega da parte dell'Avvocato generale o del Procuratore generale; ha mantenuto contatti con i difensori di Olindo Romano e Rosa Bazzi già dall’ottobre 2022, senza informare i vertici dell’ufficio; ha ricevuto documenti e perizie dagli avvocati e depositato l’istanza di revisione senza alcuna autorizzazione il 31 marzo 2023. Inutile ricordare che il caso, prima e durante, il processo di revisione è stato sostenuto nell’opinione pubblica da servizi e trasmissioni monotematiche, spesso anche speciali.
Adesso arriva il caso Garlasco, qui la questione è meno evidente rispetto a quella di Erba, ma pur sempre si discute di un omicidio risolto, molti anni fa, da un procedimento penale definitivo con un condannato che sta scontando la pena. Certo si è trattato di un procedimento altalenante perché l’imputato, Alberto Stasi, ha conseguito prima l’assoluzione in primo e secondo grado per poi essere condannato nel successivo procedimento di rinvio originato dall’annullamento della Cassazione.
Proprio nella giornata di oggi (20 maggio 2025) si tengono una serie di interrogatori incrociati a cui è sottoposto lo stesso Stasi perché le indagini sono state riaperte dalla Procura di Pavia competente per territorio per un'altra vicenda “italianissima”. All’epoca dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007, a Garlasco in provincia di Pavia, competente per territorio era il Tribunale di Vigevano e le indagini sono state coordinate dalla Procura presso il Tribunale di Vigevano. Nel 2014 il Tribunale è stato soppresso ed il territorio assegnato al circondario del Tribunale di Pavia, così è una procura formamente diversa ad indagare. Gli interrogatori sono già attenzionati da numerose trasmissioni. Stasera è prevista la messa in onda di un servizio di un supertestimone che sarebbe all’origine della riapertura del caso. Inutile dire che la trasmissione è la stessa che è andata avanti con svariate puntante per la strage di Erba finite solo con la sanzione disciplinare per il sostituto procuratore generale che ha chiesto la revisione.
Sia chiaro la possibilità di rivedere una sentenza passata in giudicato è un istituto previsto e contemplato dal nostro ordinamento, corollario di un processo a struttura democratica, ovvero capace di smentire sé stesso nei vari gradi di giudizio e anche oltre quando sopraggiungono elementi nuovi. La democraticità del sistema penale consiste proprio nel garatire autonomia ai vari gradi di giudizio e possibilità di ripensamento. Ma a Garlasco non si tratta di una revisione del processo a Stasi, l’unico condannato, ma di nuove indagini per lo stesso delitto per il quale è stato già condannato una persona. L’ipotesi, al momento ancora solo nella mente dei magistrati inquirenti, è che siano coinvolti nell’omicidio anche altri. Non persone sconosciute, ma uomini e donne, all’epoca ragazze e ragazzi già indicati, all’epoca dell’inchiesta di Vigevano, come in un qualche modo coinvolti in un carosello mediatico senza fine. La Procura di Vigevano ha sempre indagato solo Stasi, per altro anche come conseguenza del più elementare dei ragionamenti: aveva lui telefonato e poi si era recato in caserma dai carabinieri dopo aver "scoperto" il cadavere della fidanzato. Nel pensiero popolare valido sopratutto nel meridione infestato dalle mafia chi scopere un cadavere raramente chiama i carabinieri, al limite segnala anonimamente. Inutile dire che ormai tutta l’opinione pubblica conosce a memoria i nomi dei protagonisti e conosce le fasi e il materiale indiziario del precedente processo. Tra queste la prova di maggior peso a carico di Stasi è rappresentata dal fatto che avendo scoperto il cadavere della fidanzata entrando in casa sia poi uscito senza sporcarsi le scarpe di sangue nonostante l’evidenza di impronte di scarpa nel sangue versato dalla vittima e soprattutto che la povera Chiara era stata uccisa e trascinata agonizzante o già morta per le scale interne della villetta tra copiosa fuoriuscita di sangue.
Insomma, un pasticcio all’italiana piuttosto che la risoluzione di un cold case. Il risultato del clamore mediatico della vicenda è che aumenta la sfiducia dei cittadini per l’intera macchina giudiziaria, e molti cittadini, se ne accorgono quando in qualche modo finiscono negli ingranaggi di questo meccanismo, neppure sanno che nella grande maggioranza dei casi non esistono 5 gradi di giudizio o la possibilità di nuove e articolate indagini. La regola è che in Tribunale bisogna essere coincisi perché il tempo e le risorse sono destinati ai processi che fanno rumore, quelli per i quali interviene la stampa che garantisce notorietà ai protagonisti. Il resto dei processi, la stragande maggioranza, compresi quelli per fatti gravi, si celebrano tra mille difficoltà dovute allo squilibrio di mezzi e risorse tra accuse e difesa, tra difetti di comunicazione tra i principali protagonisti delle aule di giustizia: avvocati e magistrati. Per riuscire ad ottenere che fossero calendarizzati ad orario fisso i processi, principio di civiltà più che di buon andamento, è stato necessario attendere una terribile pandemia, ma negli ultimi tempi i magistrati, che hanno la totale gestione dell’udienza, fanno resistenza e in diverse aule si è tornati a fissare processi senza rispettare gli orari. Tra testimoni spazientiti per ore di attesa, avvocati che devono organizzarsi alla meglio per coprire più udienze e poi quando si tratta di discutere nell'arringa finale chiedere al difensore di essere coincisi "perchè si è fatto tardi". Di questi disservizi quotidiani, in qualche caso accentuanti anche da comportamenti contraddittori degli attori protagonisti della vicenda giudiziaria, non esiste trasmissione che se ne occupi. I riflettori sono puntati solo per pochi casi e quasi sempre i media tifano per non offrire certezze al pubblico, per manipolare anche certezze granitiche, forse l'obbiettivo è proprio quello di creare confusione. Quando poi, per miracolo, succede che davvero il sistema funziona come è successo per un pastore sardo condannato all'ergastolo ingiustamente, allora non ci sono trasmissioni televisive a sostenere il caso, ma solo la bravura del giovane avvocato, al quale anche il magistrato che ha concesso la revisione ha fatto i complimenti: peccato che il pastore si è fatto 30 anni di carcere: una vita cancellatta dall'errore giudiziario.
Adesso arriva il caso Garlasco, qui la questione è meno evidente rispetto a quella di Erba, ma pur sempre si discute di un omicidio risolto, molti anni fa, da un procedimento penale definitivo con un condannato che sta scontando la pena. Certo si è trattato di un procedimento altalenante perché l’imputato, Alberto Stasi, ha conseguito prima l’assoluzione in primo e secondo grado per poi essere condannato nel successivo procedimento di rinvio originato dall’annullamento della Cassazione.
Proprio nella giornata di oggi (20 maggio 2025) si tengono una serie di interrogatori incrociati a cui è sottoposto lo stesso Stasi perché le indagini sono state riaperte dalla Procura di Pavia competente per territorio per un'altra vicenda “italianissima”. All’epoca dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto del 2007, a Garlasco in provincia di Pavia, competente per territorio era il Tribunale di Vigevano e le indagini sono state coordinate dalla Procura presso il Tribunale di Vigevano. Nel 2014 il Tribunale è stato soppresso ed il territorio assegnato al circondario del Tribunale di Pavia, così è una procura formamente diversa ad indagare. Gli interrogatori sono già attenzionati da numerose trasmissioni. Stasera è prevista la messa in onda di un servizio di un supertestimone che sarebbe all’origine della riapertura del caso. Inutile dire che la trasmissione è la stessa che è andata avanti con svariate puntante per la strage di Erba finite solo con la sanzione disciplinare per il sostituto procuratore generale che ha chiesto la revisione.
Sia chiaro la possibilità di rivedere una sentenza passata in giudicato è un istituto previsto e contemplato dal nostro ordinamento, corollario di un processo a struttura democratica, ovvero capace di smentire sé stesso nei vari gradi di giudizio e anche oltre quando sopraggiungono elementi nuovi. La democraticità del sistema penale consiste proprio nel garatire autonomia ai vari gradi di giudizio e possibilità di ripensamento. Ma a Garlasco non si tratta di una revisione del processo a Stasi, l’unico condannato, ma di nuove indagini per lo stesso delitto per il quale è stato già condannato una persona. L’ipotesi, al momento ancora solo nella mente dei magistrati inquirenti, è che siano coinvolti nell’omicidio anche altri. Non persone sconosciute, ma uomini e donne, all’epoca ragazze e ragazzi già indicati, all’epoca dell’inchiesta di Vigevano, come in un qualche modo coinvolti in un carosello mediatico senza fine. La Procura di Vigevano ha sempre indagato solo Stasi, per altro anche come conseguenza del più elementare dei ragionamenti: aveva lui telefonato e poi si era recato in caserma dai carabinieri dopo aver "scoperto" il cadavere della fidanzato. Nel pensiero popolare valido sopratutto nel meridione infestato dalle mafia chi scopere un cadavere raramente chiama i carabinieri, al limite segnala anonimamente. Inutile dire che ormai tutta l’opinione pubblica conosce a memoria i nomi dei protagonisti e conosce le fasi e il materiale indiziario del precedente processo. Tra queste la prova di maggior peso a carico di Stasi è rappresentata dal fatto che avendo scoperto il cadavere della fidanzata entrando in casa sia poi uscito senza sporcarsi le scarpe di sangue nonostante l’evidenza di impronte di scarpa nel sangue versato dalla vittima e soprattutto che la povera Chiara era stata uccisa e trascinata agonizzante o già morta per le scale interne della villetta tra copiosa fuoriuscita di sangue.
Insomma, un pasticcio all’italiana piuttosto che la risoluzione di un cold case. Il risultato del clamore mediatico della vicenda è che aumenta la sfiducia dei cittadini per l’intera macchina giudiziaria, e molti cittadini, se ne accorgono quando in qualche modo finiscono negli ingranaggi di questo meccanismo, neppure sanno che nella grande maggioranza dei casi non esistono 5 gradi di giudizio o la possibilità di nuove e articolate indagini. La regola è che in Tribunale bisogna essere coincisi perché il tempo e le risorse sono destinati ai processi che fanno rumore, quelli per i quali interviene la stampa che garantisce notorietà ai protagonisti. Il resto dei processi, la stragande maggioranza, compresi quelli per fatti gravi, si celebrano tra mille difficoltà dovute allo squilibrio di mezzi e risorse tra accuse e difesa, tra difetti di comunicazione tra i principali protagonisti delle aule di giustizia: avvocati e magistrati. Per riuscire ad ottenere che fossero calendarizzati ad orario fisso i processi, principio di civiltà più che di buon andamento, è stato necessario attendere una terribile pandemia, ma negli ultimi tempi i magistrati, che hanno la totale gestione dell’udienza, fanno resistenza e in diverse aule si è tornati a fissare processi senza rispettare gli orari. Tra testimoni spazientiti per ore di attesa, avvocati che devono organizzarsi alla meglio per coprire più udienze e poi quando si tratta di discutere nell'arringa finale chiedere al difensore di essere coincisi "perchè si è fatto tardi". Di questi disservizi quotidiani, in qualche caso accentuanti anche da comportamenti contraddittori degli attori protagonisti della vicenda giudiziaria, non esiste trasmissione che se ne occupi. I riflettori sono puntati solo per pochi casi e quasi sempre i media tifano per non offrire certezze al pubblico, per manipolare anche certezze granitiche, forse l'obbiettivo è proprio quello di creare confusione. Quando poi, per miracolo, succede che davvero il sistema funziona come è successo per un pastore sardo condannato all'ergastolo ingiustamente, allora non ci sono trasmissioni televisive a sostenere il caso, ma solo la bravura del giovane avvocato, al quale anche il magistrato che ha concesso la revisione ha fatto i complimenti: peccato che il pastore si è fatto 30 anni di carcere: una vita cancellatta dall'errore giudiziario.
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