02 Giugno 2025
[]
articoli
percorso: Home > articoli > Diritto

Diffamazione a mezzo stampa, può essere reato anche l'errore sulla qualità di imputato piuttosto che di indagato o sul delitto tentato in luogo di consumato. Primo commento all'ultimo indirizzo della Cassazione.

31-05-2025 12:45 - Diritto
di Salvatore Piccolo*

Sulla dibattuta questione della diffamazione a mezzo stampa per notizie imprecise o parzialmente vere, in materia penale e civile, intervengono le sezioni unite della Corte di Cassazione. Il discorso riguarda l'invocazione dell'esimente del diritto di cronaca giudiziaria quando, nello scritto diffuso a mezzo della stampa, si attribuisca - contrariamente al vero - la posizione di imputato in un procedimento penale quando invece il soggetto interessato è ancora solo indagato. La vicenda specifica riguardava l'avvenuta notifica alla persona offesa dell'avviso ex art.415 bis c.p.p., in genere atto propedeutico al giudizio e quindi alla futura attribuzione della qualità di indagato. In genere, ma non sempre, ben potendo il PM che emette l'avviso ex art.415 bis c.p.p, melius re perpensa, anche per effetto di interrogatorio o di memorie difensive, cambiare parere e chiedere l'archiviazione. Allo stesso modo l'esimente in parola non vale quando nello scritto, per errore, si è indicato un delitto come consumato quando invece è tentato. Le sezioni unite, dunque, operano una stretta importante in considerazione del fatto che il concetto di stampa è stato da tempo allargato anche ai social network e ai siti web non professionali cioè redatti non da giornalisti, ma da semplici cittadini, privi di competenze specifiche. Gli atti giudiziari sono spesso difficili da decifrare e l'errore è facile, succede anche ad avvocati affermati magari esperti della materia.

Proprio sullo specifico tema - e non tanto, quindi, sugli aspetti di sistema più generali - si colgono – secondo l’ordinanza interlocutoria n. 12239/2024 – “punti di divergenza significativi” rispetto a quanto affermato dalle Sezioni penali. Viene, infatti, richiamato l’arresto di cui a Cass. pen. n. 15093/2020, secondo il quale si esclude, per l’appunto, che possa dar luogo a un’ipotesi di diffamazione a mezzo stampa “la divulgazione di una notizia d’agenzia riportante l’erronea affermazione che taluno sia stato raggiunto da richiesta di rinvio a giudizio anziché da avviso di conclusione delle indagini preliminari”, ciò integrando “una mera inesattezza su un elemento secondario del fatto storico, che non intacca la verità della notizia principale, secondo cui il procedimento, nella prospettiva della pubblica accusa, è approdato ad una cristallizzazione delle risultanze d’indagine funzionale alla sua progressione”.

Un precedente, questo, che si pone in contrasto con i principi espressi dalle decisioni civili n. 12370/2018 e n. 11769/2022 e, al tempo stesso non collima neppure con “il più rigoroso precedente di legittimità penale” (Cass. pen. n. 34544/2001) che ha ritenuto configurabile il reato di diffamazione a mezzo stampa “nel caso in cui un organo di stampa abbia diffuso la falsa notizia del coinvolgimento dell’indagato in un procedimento in quanto destinatario di una informazione di garanzia, laddove lo stesso era stata solo iscritto, nella qualità di indagato, nel registro delle notizia di reato”.

La Prima Sezione civile evidenzia, poi, che, anche in relazione al profilo della portata diffamatoria, o meno, da “riconoscere alla propalazione di una notizia riguardante un reato consumato, piuttosto che un reato tentato”, si registrano posizioni non armoniche tra la giurisprudenza di legittimità civile e quella penale. Per quest’ultima “non è irrilevante per la reputazione di un soggetto l’attribuzione di un fatto illecito diverso da quello su cui effettivamente si indaga, tale essendo — alla luce degli elementi costitutivi — la fattispecie del reato tentato, rispetto a quella del reato consumato”.
La giurisprudenza civile è, invece, orientata a valutare le “imprecisioni”, al fine dell’accertamento dell’offensività, in funzione "del loro peso sull’intero fatto narrato al fine di stabilire se siano idonee a renderlo “falso” e, oltre che tale, diffamatorio."

Il ragionamento seguito dai massimi giudici muove dai principi generali, La libertà di manifestazione del pensiero (art. 21 Cost.) è, in un ordinamento democratico, un diritto fondamentale poiché rappresenta il canale attraverso il quale l’identità personale si esprime all’esterno attraverso la formulazione di idee o di giudizi. In tale contesto, dunque, si è potuto affermare che la libertà di stampa, quale massima espressione dell’esercizio in forma collettiva della libertà di manifestazione del pensiero, rappresenta una “pietra angolare dell’ordine democratico” (Corte cost., sent. n. 84 del 1969 e sent. n. 150 del 2021). La libertà di stampa assurge, quindi, a fattispecie “qualificata” di libertà di manifestazione del pensiero, idonea a giustificare una tutela circondata da particolari cautele, che trova espressione nel diritto di cronaca (oltre che di critica), configurandosi quale esimente che attribuisce un valore oggettivamente e universalmente lecito alla condotta di propalazione di notizie (o, per il diritto di critica, di valutazioni soggettive) in tutti i rami in cui l’ordinamento si articola.

Il diritto di cronaca, in particolare, si concretizza nella narrazione oggettiva di fatti realmente accaduti, diffusi attraverso i mezzi di informazione per rispondere a un interesse pubblico alla loro conoscenza. A differenza del diritto di critica, che si caratterizza per una componente valutativa e soggettiva, la cronaca si configura come una rappresentazione neutra e fedele della realtà, finalizzata a garantire ai cittadini un’informazione chiara e trasparente su eventi di rilievo sociale, politico o economico. Tuttavia, l’esercizio del diritto di cronaca (come anche quello di critica) è portato ad interferire con i diritti, di pari rilevanza costituzionale, posti a presidio della dignità umana del singolo destinatario della narrazione (o del giudizio critico).

I diritti della personalità, come quelli alla reputazione, all’onore e all’immagine, corollari impliciti della dignità umana ed evolutivamente desumibili dalle clausole generali di cui agli artt. 2 e 3 Cost., costituiscono limiti che comprimono ab extrinseco lo spazio in cui può validamente esplicarsi la libertà di manifestazione del pensiero attraverso il diritto di cronaca (e di critica).
Nel diritto di cronaca si sostanza la verità della notizia che non può scivolare verso concetti di verosimiglianza. L’errore del giornalista nel controllo delle fonti informative può esimerlo da responsabilità solo se incolpevole. Nell’assolvimento di questi oneri risiede, dunque, il contemperamento tra l’inesigibilità della verità assoluta della notizia e la garanzia di un’adeguata protezione dei beni individuali del soggetto che dalla stessa venga attinto, in coerenza con il principio del “giornalismo responsabile”.

Le Sezioni unite civili, pronunciandosi sulla questione di massima di particolare importanza - nonché oggetto di contrasto tra la giurisprudenza delle Sezioni civili e penali della Corte - rimessa dalla Sezione prima civile con ordinanza interlocutoria n. 12239 del 2024, hanno affermato il seguente principio di diritto:

«in tema di diffamazione a mezzo stampa, l'esimente del diritto di cronaca giudiziaria, qualora la notizia sia mutuata da un provvedimento giudiziario, non è configurabile ove si attribuisca ad un soggetto, direttamente o indirettamente, la falsa posizione di imputato, anziché di indagato (anche per essere riferita un'avvenuta richiesta di rinvio a giudizio, in luogo della reale circostanza della notificazione dell'avviso di conclusione delle indagini preliminari di cui all'art. 415-bis c.p.p.) e/o un fatto diverso nella sua struttura essenziale rispetto a quello per cui si indaga, idoneo a cagionare una lesione della reputazione (come anche nel caso di un reato consumato in luogo di quello tentato), salvo che il giudice del merito accerti che il contesto della pubblicazione sia tale da mutare, in modo affatto chiaro ed inequivoco, il significato di quegli addebiti altrimenti diffamatori».

La sentenza n.13200 del 2025 da cui è tratta la massima, può essere liberamente scaricata sotto all'articolo oppure nella sezione documenti di questo sito

La formula di salvezza individuata dagli ermellini del contesto della pubblicazione idoneo a mutare il significato appare come una conferma dell'intento restrittivo della suprema Corte. In altre parole se non si è in grado di scrivere correttamente qualità e titolo del reato, meglio astenersi dal diffondere notizie di cronaca giudiziaria indicando nomi e cognomi, il reato di diffamazione può configurarsi anche quando si sbaglia a leggere l'atto giudiziario attribuendo qualità e ruoli erronei.

* avvocato cassazionista

riproduzione riservata

la sentenza in commento può essere scaricata gratis cliccando qui


Realizzazione siti web www.sitoper.it
invia a un amico
icona per chiudere
Attenzione!
Non puoi effettuare più di 10 invii al giorno.
Informativa privacy
Testo dell'informativa da compilare...
torna indietro leggi Informativa privacy
 obbligatorio
cookie